Taverna Trastevere raddoppia: dopo la sede di Londra (2019) ha aperto anche nel capoluogo lombardo. Lo chef Ivano Paolucci vi propone i piatti della tradizione capitolina, eseguiti davvero bene: carciofi alla giudia, supplì, carbonara, saltimbocca, coda.
Taverna Trastevere, l’insegna creata nel 2019 a Londra dall’attore Nicolas Vaporidis e dal socio e amico Alessandro Grappelli, ha aperto lo scorso 22 dicembre una sua seconda sede ma in Italia, Milano, zona Brera-Moscova. Protagonisti sempre i piatti della tradizione romana. Si viene accolti da un ambiente bello, luminoso, rilassante, con un mix elegante-rustico-industriale e con accenni a Roma un po’ ovunque. Pavimento in parquet di legno scuro, travi a vista sul soffitto, tubi bordeaux, divani eleganti e tavoli con tovaglie bianche apparecchiati in maniera sobria. Il ristorante dispone anche di un dehors per la bella stagione; due invece le sale interne, quella al pianterreno ha l’affaccio sulla cucina; al piano di sotto, accanto agli altri tavoli ecco il forno della pizza a vista.
Per Vaporidis e Grappelli questa è una sorta di Taverna Trastevere 2.0, molto diversa dall’originale londinese: là si punta molto più sul concetto di semplice trattoria all’italiana (in questo caso, “alla romana”) per attirare sia una clientela del posto – inglesi, ma anche i tanti italiani che là abitano – sia i turisti che si spingono a Sud di Chelsea attraversando il Tamigi e arrivando fino ai quartieri di Battersea e di Clapham. A Milano invece l’idea è quella di proporre una Taverna più elegante e raffinata, con una sala di livello (il general manager è Alessandro Farioli che vanta diverse esperienze di livello tra le quali spicca quella al The Waterside Inn a Bray, nel Regno Unito, sotto la guida di Diego Masciaga) e mantenendo invariato invece lo stile della cucina: pura tradizione romana, firmata dallo chef Ivano Paolucci (lui segue anche l’indirizzo londinese) che si avvale dell’aiuto della pastry chef Valentina Tortorella. Paolucci è capitolino ma ha lavorato anche all’estero: sa quindi leggere i piatti della romanità con un occhio diverso, pur mantenendovi sempre l’essenza identitaria.
Credits: Alan Jones